L'instancabile Roberto continua a sfornare le sue recensioni d'autore.
Vi ricordo di seguire il suo blog: di tutto un Poe
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Come la vede Roberto
Quanti di voi si ricordano di Feels like Heaven e dei Fiction Factory? La canzone risale alla fine del 1983, ma forse - grazie a Radio Capital TV e ai suoi video vintage - anche i più giovani tra i lettori del blog potrebbero averla sentita. Non che la cosa importi molto, visto che ho semplicemente preso spunto dal titolo per parlare di una serie televisiva appena giunta al termine della sua terza stagione: Haven.
Prodotto della fertile, ma spesso sconclusionata, vena creativa del canale televisivo SyFy (e approdata nel nostro Paese prima su Steel, poi su Rai4), la serie si ispira (in maniera, molto, ma molto, ma molto, libera) al racconto The Colorado Kid di Stephen King (mida del fantastico, perennemente sopravvalutato). Narra le vicende di un agente donna, Audrey Parker (la quasi sconosciuta Emily Rose - in precedenza nota per aver dato voce e corpo a una delle eroine del gioco d'avventura per PS3 Uncharted), in uno strano paesino del Maine (ovviamente, trattandosi di King), Haven, appunto. Il termine in inglese, significa, tra le varie cose, anche "rifugio, e qui ci si riferisce a come il luogo "faccia buca" (per usare una nostra colorita ma comprensibile perifrasi) per tutte le persone "dotate" di un qualche potere anomalo (che come nel caso dell'eccellente sequenza di racconti super-eroistici delle antologie Wild Cards, ideate da George R.R.Martin, prima del trionfo di Game of Thrones, spesso o quasi sempre sono assurdi e debilitanti per chi li possiede e l'intero paese).
Nei tre mezzi anni di programmazione (si trattava inizialmente di una serie estiva - cioè da 13 episodi, promossa nell'ultimo anno a serie autunnale, ma rimasta comunque a quota tredici, come numero di puntate), le avventure dell'agente Parker e degli altri strani eroi di Haven (in particolare, lo sceriffo Nathan Wuornos - altro attore emerito sconosciuto, Lucas Bryant - e il simpaticissimo anti-eroe Duke Crocker - il moderatamente famoso Eric Balfour, già in 24 e in film come il remake di Non aprite quella porta e Skyline, ma già giovanissimo nei primissimi episodi di Buffy l'ammazzavampiri; senza dimenticare i fratelli-coltelli Dave and Vince, giornalisti ed editori del giornale locale, conoscitori di molti dei segreti del posto, e le comparsate di uno degli eroi del wrestling, Edge) si sviluppano attraverso una continua serie di sorprese e di colpi di scena, che via via che passano le puntate, si strutturano in una trama portante che nella terza serie prende il sopravvento e prelude a un cliffhanging che sicuramente è stato scelto dopo la decisione di giungere a una quarta stagione...
Per molti versi simile al cult anni Novanta X Files, Haven soffre un po' degli stessi difetti: se molte delle idee iniziali sono indubbiamente buone (come la presenza di persone con "problemi" - definizione politicamente corretta per individui la cui presenza porta solo morte e distruzione per quelli che incontrano -con l'agente Parker immune ai loro effetti, che periodicamente torna nel villaggio - una volta ogni 27 anni, a partire dalla prima comparsa negli anni Cinquanta del XX secolo - per porre rimedio alla loro ricomparsa ciclica), i personaggi azzeccati (anche se in certo modo stereotipi), gli attori bravi, gli sceneggiatori altrettanto abili (c'è la mano - almeno come produttore - di uno dei grandi del fantastico televisivo dell'ultimo quindicennio, J.J.Abrams), la prevalenza di una trama iper-ramificata sottostante a tutto quanto alla lunga stanca, si notano miriadi di incongruenze, si sente la pressione di non sapere quando dover porre termine a tutto quanto (il dramma delle serie televisive odierne, eccessivamente vittime esclusive dell'audience, ballerina per definizione) e quindi la necessità di lasciarsi spazi per conclusioni improvvise e prolungamenti indefiniti. Nel complesso però, i pregi sono superiori ai difetti e, senza entrare in ulteriori dettagli per non sciupare la visione a chi non la conoscesse, mi sento di poter dire che se gli anni Novanta erano stati, per gli appassionati del fantastico paranormale, gli anni di Mulder e Scully, questi primi anni della seconda decade del XXI secolo possono essere, per lo stesso tipo di pubblico, gli anni di Parker, Wuornos e Crocker (atipico triangolo, che meriterebbe ben più di un post e spiegazioni più dettagliate, che non mi sento di fare, per non rovinare con troppi spoiler la scoperta dei loro segreti via via che passano le puntate).
Forse poco vista da noi, anche per la programmazione su reti di secondo piano (nonostante Rai4 ormai da tempo sia il vero punto di riferimento per gli appassionati di fiction fantastica nostrana), Haven è un telefilm che raggiunge meritatamente la quarta stagione: speriamo che gli sceneggiatori siano sufficientemente abili da non alterare troppo gli equilibri faticosamente raggiunti e capaci di dare un senso compiuto all'intero baraccone (le cui falle cominciano pericolosamente a fare acqua quanto a coerenza) in attesa del finale (auspicabilmente la prossima stagione sarà l'ultima, altrimenti tempo un vero e proprio disastro di trama, come sta avvenendo - parere personale - con Fringe, di cui parlerò un'altra volta). E già che ci siete, se non la conoscete, ascoltatevi anche Feels like Heaven dei Fiction Factory, che non è niente male come possibile emblema dei favolosi anni Ottanta...
Prodotto della fertile, ma spesso sconclusionata, vena creativa del canale televisivo SyFy (e approdata nel nostro Paese prima su Steel, poi su Rai4), la serie si ispira (in maniera, molto, ma molto, ma molto, libera) al racconto The Colorado Kid di Stephen King (mida del fantastico, perennemente sopravvalutato). Narra le vicende di un agente donna, Audrey Parker (la quasi sconosciuta Emily Rose - in precedenza nota per aver dato voce e corpo a una delle eroine del gioco d'avventura per PS3 Uncharted), in uno strano paesino del Maine (ovviamente, trattandosi di King), Haven, appunto. Il termine in inglese, significa, tra le varie cose, anche "rifugio, e qui ci si riferisce a come il luogo "faccia buca" (per usare una nostra colorita ma comprensibile perifrasi) per tutte le persone "dotate" di un qualche potere anomalo (che come nel caso dell'eccellente sequenza di racconti super-eroistici delle antologie Wild Cards, ideate da George R.R.Martin, prima del trionfo di Game of Thrones, spesso o quasi sempre sono assurdi e debilitanti per chi li possiede e l'intero paese).
Nei tre mezzi anni di programmazione (si trattava inizialmente di una serie estiva - cioè da 13 episodi, promossa nell'ultimo anno a serie autunnale, ma rimasta comunque a quota tredici, come numero di puntate), le avventure dell'agente Parker e degli altri strani eroi di Haven (in particolare, lo sceriffo Nathan Wuornos - altro attore emerito sconosciuto, Lucas Bryant - e il simpaticissimo anti-eroe Duke Crocker - il moderatamente famoso Eric Balfour, già in 24 e in film come il remake di Non aprite quella porta e Skyline, ma già giovanissimo nei primissimi episodi di Buffy l'ammazzavampiri; senza dimenticare i fratelli-coltelli Dave and Vince, giornalisti ed editori del giornale locale, conoscitori di molti dei segreti del posto, e le comparsate di uno degli eroi del wrestling, Edge) si sviluppano attraverso una continua serie di sorprese e di colpi di scena, che via via che passano le puntate, si strutturano in una trama portante che nella terza serie prende il sopravvento e prelude a un cliffhanging che sicuramente è stato scelto dopo la decisione di giungere a una quarta stagione...
Per molti versi simile al cult anni Novanta X Files, Haven soffre un po' degli stessi difetti: se molte delle idee iniziali sono indubbiamente buone (come la presenza di persone con "problemi" - definizione politicamente corretta per individui la cui presenza porta solo morte e distruzione per quelli che incontrano -con l'agente Parker immune ai loro effetti, che periodicamente torna nel villaggio - una volta ogni 27 anni, a partire dalla prima comparsa negli anni Cinquanta del XX secolo - per porre rimedio alla loro ricomparsa ciclica), i personaggi azzeccati (anche se in certo modo stereotipi), gli attori bravi, gli sceneggiatori altrettanto abili (c'è la mano - almeno come produttore - di uno dei grandi del fantastico televisivo dell'ultimo quindicennio, J.J.Abrams), la prevalenza di una trama iper-ramificata sottostante a tutto quanto alla lunga stanca, si notano miriadi di incongruenze, si sente la pressione di non sapere quando dover porre termine a tutto quanto (il dramma delle serie televisive odierne, eccessivamente vittime esclusive dell'audience, ballerina per definizione) e quindi la necessità di lasciarsi spazi per conclusioni improvvise e prolungamenti indefiniti. Nel complesso però, i pregi sono superiori ai difetti e, senza entrare in ulteriori dettagli per non sciupare la visione a chi non la conoscesse, mi sento di poter dire che se gli anni Novanta erano stati, per gli appassionati del fantastico paranormale, gli anni di Mulder e Scully, questi primi anni della seconda decade del XXI secolo possono essere, per lo stesso tipo di pubblico, gli anni di Parker, Wuornos e Crocker (atipico triangolo, che meriterebbe ben più di un post e spiegazioni più dettagliate, che non mi sento di fare, per non rovinare con troppi spoiler la scoperta dei loro segreti via via che passano le puntate).
Forse poco vista da noi, anche per la programmazione su reti di secondo piano (nonostante Rai4 ormai da tempo sia il vero punto di riferimento per gli appassionati di fiction fantastica nostrana), Haven è un telefilm che raggiunge meritatamente la quarta stagione: speriamo che gli sceneggiatori siano sufficientemente abili da non alterare troppo gli equilibri faticosamente raggiunti e capaci di dare un senso compiuto all'intero baraccone (le cui falle cominciano pericolosamente a fare acqua quanto a coerenza) in attesa del finale (auspicabilmente la prossima stagione sarà l'ultima, altrimenti tempo un vero e proprio disastro di trama, come sta avvenendo - parere personale - con Fringe, di cui parlerò un'altra volta). E già che ci siete, se non la conoscete, ascoltatevi anche Feels like Heaven dei Fiction Factory, che non è niente male come possibile emblema dei favolosi anni Ottanta...
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